Page 10 - libro_decennale
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ghese, ipotizzato da Nicola Cleopazzo), messe a punto, scoperte, letture iconogra- fiche innovative: come si vede la gamma delle argomentazioni è varia e articolata. Naturalmente, un supplemento di attenzione lo rivolgo ai saggi che hanno per argomento la scultura del Cinquecento (che mi riguardano, per così dire, in prima persona); in particolare quello di Stefano De Mieri, che, oltre a riportare l’atten- zione, e con nuovi apporti documentari, sulle vicende delle tombe Spinelli-Orsini nella chiesa napoletana di Santa Caterina a Formello, rappresenta un ulteriore, im- portante tassello alla ormai annosa discussione sulla ‘ditta’ Caccavello-D’Auria, sulla sua articolazione e sulle varie componenti al suo interno, ma soprattutto chiama in causa, nella realizzazione di quel grandioso complesso, l’apporto degli scultori lombardi (largamente attivi anche a Roma) Silla e Giovanni Antonio Lon- ghi da Viggiù. Fu infatti proprio la evidente presenza, in quel complesso funerario, di una mano chiaramente distinta da quella dei due capibottega, Gian Domenico D’Auria e Annibale Caccavello, a dare l’avvio, ormai quasi quaranta anni fa, alla mia ipotetica, e certo problematica, ricostruzione dello scultore che continuo a ri- tenere la personalità di maggior spicco della scultura napoletana dell’ultimo tren- tennio del Cinquecento; personalità che allora, e anche negli anni successivi, ritenni di identificare con Salvatore Caccavello, largamente ricordato attivo nella bottega di Annibale, come si evince dal dettagliato diario di quest’ultimo. Le difficoltà relative a questa identificazione sono andate crescendo con il pro- seguo degli studi: un primo colpo lo ha inferto Letizia Gaeta nel suo volumetto del 2000 dedicato agli intagli lignei nella sacrestia dell’Annunziata, negando intanto a Salvatore Caccavello, e giustamente, anche sulla base di una più corretta lettura dei documenti, la paternità del ‘pezzo forte’ di quei rilievi, i quattro bellissimi Profeti, ricondotti nell’ambito delle decisive presenze spagnole del primo quarto del secolo (e sulle quali, sia detto per inciso, molto ancora è da ‘decifrare’). Ma continuo a non essere convinto che il gruppo, a mio avviso omogeneo (fatto salvi appunto i ci- tati intagli dell’Annunziata) nel quale ipotizzavo di riconoscere l’attività del Cacca- vello junior, possa essere ricondotto al suo ‘sodale’ Geronimo D’Auria. E questo per ragioni, stringenti, di qualità, nonostante le indubbie affinità che legano quel gruppo, tanto per dirne una, alla Resurrezione di Lazzaro nella chiesa dei Santi Se- verino e Sossio, firmata dal giovane D’Auria. Più probabile la possibilità, adombrata da Alessandro Grandolfo, che quella no- tevole personalità vada piuttosto identificata con un altro esponente della ‘ditta’, Giovan Tommaso D’Auria; e su questa via possono soccorrerci anche altri elementi che mi paiono importanti. Nel 1577 a Geronimo D’Auria viene commissionato dai 12
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