Page 12 - libro_decennale
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Santa Caterina a Formello e al saggio di De Mieri, che, ricapitolando i vari momenti della loro storia critica e individuando nuovi apporti documentari, rovescia le opi- nioni, in particolar modo la mia, sulla loro esecuzione da parte della ‘ditta’ Cacca- vello-D’Auria, nelle sue varie componenti generazionali, in favore dell’intervento decisivo dei due scultori lombardi Silla e Giovanni Antonio Longhi, che De Mieri ipotizza reclutati direttamente a Roma, per intervento soprattutto di Caterina Or- sini, moglie di Troiano Spinelli, e committente principale del grandioso complesso; presenza già adombrata dalle fonti napoletane (il canonico Carlo Celano) e con- fermata dai documenti. Ora, tale complesso mi pare riproporre un nuovo capitolo del rapporto, notoriamente controverso, tra evidenza documentaria ed evidenza stilistica, stante anche l’intreccio abbastanza contraddittorio della documentazione d’archivio. E lo stesso De Mieri deve ammettere che risulta difficile «trovare con- ferma», per via stilistica, all’attribuzione a Silla Longhi, da lui avanzata, dei due se- polcri maschili di casa Spinelli. La documentazione archivistica dice, infatti, sostanzialmente tre cose: che nel 1569 Caterina Orsini commissiona a Giandomenico D’Auria il sepolcro del marito; nel 1578 (sono trascorsi quasi dieci anni, si noti) le due cognate stipulano un nuovo contratto con Silla e Giovan Antonio Longhi che impegna i due scultori lombardi a fare, cito testualmente, «l’opera de marmi in lo altare magiore de Santa Catherina a Formello per li sepolcri del quondam illustrissimo» principe di Scalea Troiano Spinelli e del fratello, anch’esso defunto, Giovan Vincenzo, marchese di Mesoraca, «de marmi bianchi fini di Carrara» (più avanti si parlerà di marmi mischi); il 24 agosto 1582, infine, Silla riceve un acconto per l’«opera che ha da fare» in Santa Ca- terina a Formello e il 12 novembre successivo un altro acconto invece per l’opera «che fa». I compensi ricevuti appaiono consistenti, più di duemila ducati. Restano dunque fuori da queste commissioni le due tombe femminili degli Spi- nelli, quella di Dorotea, che De Mieri ipotizza già eseguita da Giovan Domenico D’Auria, che muore nel 1573 (per me con la collaborazione di Annibale Cacca- vello) e quella di Isabella, che, come indica Grandolfo, pare commissionata, nel 1586, a Geronimo D’Auria da Alfonso Caracciolo (con l’indicazione però che «farà» e che «ha da fare»; e siamo di nuovo al problematico rapporto tra evidenza docu- mentaria ed evidenza stilistica). Per quanto riguarda la commissione (economica- mente abbastanza onerosa, come si è visto) del 1578 questa, a leggerla bene, appare abbastanza generica e riferirla tout court alle due statue dei defunti, con tutta pro- babilità, a mio avviso, già da tempo eseguiti, mi sembra una estensione non dimo- strabile. Se così stanno le cose il prezzo elevato appare pienamente giustificato se 14