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più colti, le zone che anche allora esistettero, relativamente depresse? Non è que- sto il modo di ribadire, nel pubblico, i vecchi pregiudizi sulla arretratezza eterna, 18 anziché storicamente determinata, delle regioni meridionali?» . Non sto a ripercorrere tutte le giustificate obiezioni al testo avanzate da Pre- vitali (una su tutte, l’esclusione dalla trattazione di zone che pur «furono centri di elaborazione culturale di prim’ordine», la Sicilia, Gaeta, l’Aquila) per sottoli- neare invece il giudizio complessivo: «anche restando all’interno del quadro che egli stesso si è ritagliato, non si può dire che il Kalby dimostri di saper distinguere 19 chiaramente che cosa è veramente successo» . Cosa sia stata, insomma, quella che si può chiamare a buon diritto ‘scuola napoletana’ o ‘cultura meridionale’. Va da sé che alcune delle proposte attributive avanzate da Previtali anche in que- sta recensione siano discutibili (e sono state infatti discusse e anche superate, nel proseguo degli studi) ma quel che vale è la dichiarazione, pienamente condivisi- bile, di ‘metodo’. Tali attribuzioni, infatti, «non vogliono essere definizioni som- marie di appartenenza ad una data casella dell’elenco telefonico dei pittori italiani , sono ipotesi storiografiche, e, come tali, non richiedono di essere som- 20 mariamente, ed immotivatamente, accolte o respinte, ma di essere, da chi ne sia in grado, ragionate e discusse» . 21 Non è mia intenzione, né sarebbe neppure possibile in questa sede, ripercorrere nei dettagli l’intervento previtaliano nella Storia di Napoli né il successivo volume su La pittura del Cinquecento a Napoli e nel vicereame, pietre miliari della storio- grafia sul Cinquecento pittorico meridionale. Vorrei invece soffermarmi piuttosto 18 Ivi, pp. 51-52. 19 Ivi, p. 52. 20 Previtali qui parafrasa una celebre definizioni di Longhi che giudicava ironicamente gli ‘indici’ di Bernard Berenson sui pittori fiorentini e veneziani come degli elenchi telefonici! 21 Ivi, p. 54. Il lettore è ormai edotto, dalle pagine precedenti, delle mie perplessità sui drastici giu- dizi di Previtali nei confronti degli ‘studiosi meridionali’. Ma a dargli in parte ragione vorrei citare, con la levità che il caso richiede, trattandosi di un ‘pezzo di colore’ più che di sostanza scientifica, un curioso episodio. Mi fu infatti raccontato, da persona autorevolmente introdotta nell’establishement culturale e mondano di Napoli, e con evidente divertimento di entrambi, che, appresa la notizia che la Storia di Napoli mi aveva assegnato (su proposta, se non ricordo male, di Raffaello Causa) di trat- tare l’argomento ‘scultura del Quattrocento’, Luigi Kalby (professore associato di Storia dell’arte al- l’Università di Salerno: la crisi dell’insegnamento universitario nasce, ahimè, come si vede, da lontano) se ne uscì con questa affermazione: «ma chi è questo Abbate, non l’ho mai visto al ‘circolo del ten- nis’!». Superfluo, mi pare, ogni ulteriore commento. 24