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7 che si dava alla parola nel Cinquecento, comprendente tutti i Paesi Bassi» . Della condivisione di questi due assunti, aggiunge Previtali, «allo stato degli studi, si avrebbe tutto il diritto di dubitare». A riprova della sua argomentazione Previtali cita alcuni fatti. Dopo aver giusta- mente ricordato come, nel volume dedicato dal Freedberg, nel 1970, alla pittura ita- liana del Cinquecento, la trattazione della produzione meridionale di quel secolo lasci 8 intendere che in quell’ambito «nulla o quasi [sia] degno di salvezza» , e dopo aver, inoltre, sottolineato la stupefacente omissione di ogni richiamo all’Italia meridionale nel libro dedicato da Paul Philippot al tema Pittura fiamminga e Rinascimento ita- 9 liano , Previtali cita un episodio che gli pare emblematico dell’atteggiamento, come dire, ‘subalterno’ degli studiosi meridionali o comunque, come nel caso specifico, operosi al Sud. Giuseppina Magnanimi, ispettrice da non molti anni (e proveniente da Roma) nella Soprintendenza d’Abruzzo, pubblica infatti, dopo il restauro, e sotto il nome di Federico Barocci, la ormai ben nota Annunciazione di Teodoro d’Errico nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Montorio nei Frentani, dal Previtali age- volmente restituita al suo vero autore, il pittore fiammingo appunto. A parte il fatto che l’episodio in discussione non rappresenterebbe davvero il primo caso di attribuzione sbagliata (a cui va aggiunta l’attenuante che la studiosa in que- stione, per formazione e precedenti esperienze lavorative, non era davvero, per così dire, ‘organica’ a quel territorio in cui era stata inviata quale vincitrice di concorso; per cui una non perfetta conoscenza del territorio può essere comprensibile) mi pare ve- ramente forzata la conclusione di Previtali che il dipinto, appunto perché di qualità, non può essere ritenuto, da chi lo studia con quell’atteggiamento subalterno che ab- biamo ricordato, opera meridionale. Si potrà obbiettare che il fiammingo Teodoro d’Errico non è propriamente un artista meridionale; ma qui Previtali ha ragione da vendere nel ritenere, in un successivo intervento, come una delle costanti dell’arte meridionale del tempo sia data dal frequente «processo di trasformazione per assi- milazione degli artisti immigrati» che finivano, in tempi brevi, «per trasformarsi in artisti tipicamente ‘meridionali’»; si tratti appunto dei fiamminghi o di Marco Pino . 10 7 Teodoro d’Errico e la ‘Questione meridionale’, «Prospettiva», 1975, n. 3, p. 17. 8 Ivi, p. 18. 9 A questi esempi Previtali non manca di citare alcune ‘incomprensioni’ riguardo a certi valori di artisti meridionali, in specie di stampo espressionistico e polidoresco, dovuti a Bottari, Mauceri e Marabottini. 10 Vedi la recensione alla mostra Arte in Calabria, a cura di M.P. Di Dario Guida nel numero 7 di «Prospettiva», 1976, p. 59. 20
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