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forma più marginale) e poi, per non tralasciare i più ‘antichi’, Bertaux, Rolfs, Sala- zar, Frangipane, Croce e la nutrita schiera dei collaboratori di «Napoli Nobilis- sima», per non dirne altri. Nel numero della stessa rivista «Prospettiva» successivo al citato intervento sulla ‘questione meridionale’ (e precisamente nel numero 4), Previtali pubblica una re- censione al volume, abbastanza presuntuoso, di Luigi Kalby intitolato Classicismo 16 e maniera nell’officina meridionale , giudicato un ‘caso esemplare’ e recente della «difficoltà della cultura italiana a rendere giustizia al passato artistico delle proprie 17 regioni meridionali» . La ragione per la quale ho definito presuntuoso il volume del Kalby (o piuttosto lungo saggio, data la sua dimensione abbastanza ridotta, 101 pa- gine) lo spiega indirettamente lo stesso Previtali, nel definire, con evidente sottin- teso critico, quel saggio un intervento ‘interpretativo’, «condito dalla pubblicazione, ingenuamente vantata nella fascetta editoriale, di ‘una trentina’ di inediti. Ma, a parte che la qualità scadentissima delle riproduzioni fa sì che per il lettore queste opere restino di fatto in una mezz’ombra di poco preferibile alla precedente oscu- rità, che senso può avere, nella situazione attuale in cui perfino lo specialista deve ancora essere convinto della pura e semplice esistenza di una pittura ‘regnicola’ degna di questo nome, dare ampio spazio (un quarto circa del totale) ad opere se- condarie che ne documentano, anziché i momenti più vivi e i centri di elaborazione in Calabria allestita a Cosenza, a cura di M.P. Di Dario, nel 1976. «Nei mesi scorsi, uno studioso ancor giovane, ma agguerrito e di non discutibile avvedutezza anche socio-politica qual è Giovanni Previtali, ha voluto insistere due volte» nel «rendere giustizia» al patrimonio artistico meridionale e sulle «ragioni storiche dell’atteggiamento ambiguo degli studiosi del sud. […] Personalmente, non posso che sottoscrivere il rilievo, specie perché proprio contro queste ‘difficoltà’ e ancor più contro ‘l’atteggiamento ambiguo degli studiosi del Sud’ mi vanto di aver combattuto qualche non disono- revole battaglia da non meno di venticinque anni”». «Queste battaglie», continua Bologna, «hanno riguardato varie volte ed ‘ex professo’ anche il settore che al Previtali ora è più caro, quello cinque- centesco, e nel 1969 hanno affrontato globalmente l’argomento, con osservazioni riguardanti in modo specifico l’aspetto storico-sociologico del problema». Bologna si riferisce, per quest’ultimo caso, al suo volume, del 1969, appunto dedicato ai pittori della Napoli angioina, dove è un capitolo, quello sulla pala di San Ludovico da Tolosa inviata a Napoli da Simone Martini, che rappresenta un capolavoro, a mio avviso ancora insuperato, di interpretazione storico-sociale-religiosa di una importante opera d’arte. Un po’ imbarazzata l’autodifesa di Previtali: tra l’ironico e l’affettuoso l’accenno alla «iper- sensibilità» di Ferdinando Bologna. Vedi la recensione dello stesso Previtali alla mostra di Cosenza nel numero 7 di «Prospettiva», nello stesso 1976. 16 «Prospettiva»,1975, n. 4, pp. 51-54. 17 Ivi, p. 51. 23
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