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rigorosamente confinati nei limiti della ‘disciplina’». La critica dell’arte italiana rela- tiva al Mezzogiorno appare infatti a Previtali «un caso esemplare degli ‘interscambi’ tra il livello delle strutture economiche e quello delle strutture ideologiche». Dunque questa deficitaria condizione degli studi ha per Previtali «cause profonde, le quali 14 continuano ad agire e temo continueranno ad agire ancora a lungo» . Che cause profonde ne siano esistite non intendo certo revocare in dubbio e tra queste probabilmente il fatto che il principale biografo degli artisti napoletani, il ben noto Bernardo De Dominici (impropriamente indicato come il «Vasari napole- tano») abbia goduto nella tradizione storiografica napoletana di una stampa non proprio favorevole (si pensi a Benedetto Croce) e questo gli ha impedito di svolgere un ruolo propositivo nella creazione appunto di una ‘tradizione storiografica’ im- portante; fino alla sacrosanta ‘riabilitazione’, ad opera soprattutto di Ferdinando Bologna. In anni più recenti molto ha contribuito anche la mancanza, prima degli insegnamenti di Bologna e dello stesso Previtali, di una tradizione universitaria di sicuro spessore negli atenei del Sud, e sappiamo quale peso questa tradizione possa assumere sul procedere degli studi. «Fatte salve le debite eccezioni», afferma Previtali. Il richiamo può anche fun- zionare se limitiamo appunto il panorama ai decenni a cavallo tra XVI e XVII secolo, ma se lo allarghiamo all’intera arte meridionale le eccezioni paiono piuttosto essere quegli interventi ‘negativi’ che Previtali ricorda nel suo articolo. L’elenco delle ec- cezioni ‘positive’ può infatti essere abbastanza lungo: Ferdinando Bologna in pri- 15 mis , Causa, Ortolani, Valentiner, lo stesso Bottari, ancor più Longhi (seppure in 14 Teodoro d’Errico cit., p. 19. È questa una previsione che è stata ampiamente smentita dalla no- tevole e qualificata messe di studi meridionali, apparsi a partire almeno da quest’ultimo ventennio. Il rapporto struttura-sovrastruttura richiamato da Previtali non pare dunque funzionare in questo caso. Parrebbero tuttavia dar ragione a Previtali alcuni episodi recenti e addirittura recentissimi, quando ormai dunque gli studi sull’arte meridionale, e di tutti i periodi, hanno raggiunto dimensioni rag- guardevoli, quantitativamente e qualitativamente. Ma si tratta di casi che dimostrano solo la pigrizia o l’inadeguatezza culturale dei curatori di quelle collane. Basti citare, per fare un unico esempio, la collana, a cura di Umberto Eco ed edita dal gruppo editoriale di «Repubblica-l’Espresso», dedicata a L’età moderna e contemporanea, in cui l’arte napoletana e meridionale in genere è quasi completa- mente assente, salvo rarissime eccezioni. Clamorosa è l’omissione totale, per restare proprio nel- l’ambito cronologico della ‘requisitoria’ previtaliana, di tutto il Cinquecento meridionale, compreso quello scultoreo che vanta punte di assoluta eccellenza, e non certo tacciabili di ‘provincialità’, ma di assoluta caratura internazionale, quali i due scultori spagnoli Bartolomé Ordoñez e Diego de Siloe. Sconcertante la totale ignoranza dei curatori del settore artistico di quella serie di volumi. 15 E infatti Bologna non mancava di lamentarsene, nella prefazione al catalogo della mostra Arte 22
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