Page 17 - libro_decennale
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A Napoli e all’Abruzzo lo studioso torna con una serie di crocifissi che Previtali riunisce in un unico gruppo attorno all’esemplare della collegiata di Sant’Agostino a Visso. Ho qualche perplessità a ritenerli tutti della stessa mano, ma le affinità di linguaggio sono indubbie; un linguaggio che si estende dunque, anche in questo caso, a un’area che va dalle Marche (Visso) all’Umbria (Spoleto) a L’Aquila giù giù fino a Napoli (lo splendido Crocifisso di San Gregorio Armeno). Lo spostamento di visuale, con il conseguente accrescimento di conoscenza e di consapevolezza sto- rica, riguardo all’articolazione di linguaggio artistico tra centro e sud d’Italia, appare 6 fin troppo evidente . Un accrescimento e una nuova consapevolezza che si riflettono anche sullo spa- zio che nella nuova rivista, pur così fortemente ‘toscana’, «Prospettiva» appunto, fondata nel 1975, viene occupato (e già nel primo numero) da argomenti meridio- nali e non solo ad opera di studiosi meridionali od operosi nelle strutture culturali del Meridione, come Università o Soprintendenze. Ed è proprio a «Prospettiva» (nel numero 3 del 1975) che Previtali affida il suo noto, polemico, e abbastanza ‘precipitoso’, come avrebbe detto Roberto Longhi, pamphlet meridionalista intito- lato Teodoro d’Errico e la questione meridionale. Un intervento che si colloca tra il saggio già ricordato del 1972 per la Storia di Napoli e il volume su La pittura del Cin- quecento a Napoli e nel viceregno, che è del 1978. L’articolo in questione è la riproposizione, quasi alla lettera, di una conferenza tenuta, nel 1973, all’Istituto Olandese di Storia dell’Arte di Firenze; rivolta, dunque, a un pubblico colto, e probabilmente in parte straniero, ma, immagino, non tutto strettamente specialistico. E già questo fatto può aver contribuito, a mio avviso, al particolare taglio dell’intervento e agli aspetti un po’ generici dell’assunto centrale dell’argomentazione, che parte certamente, va detto subito, da alcuni dati reali e inoppugnabili, i quali però, da particolari quali sono, non possono pretendere di as- surgere a un dato di carattere assolutamente e perentoriamente generale. E cerco di spiegarmi. Quella conferenza e il successivo articolo intendevano es- sere, per Previtali, «un contributo al più vasto problema dell’apporto fiammingo alla pittura del Vicereame ai tempi di Filippo II […]. Un assunto che presuppone che si sia d’accordo su almeno due fatti: 1) l’esistenza di una pittura ‘regnicola’ di que- gli anni che abbia importanza tale che valga la pena di parlarne, e 2) la definizione, al suo interno, di una componente propriamente ‘fiamminga’ (nell’accezione […] 6 Ivi, pp. 76 sgg. 19
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